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Storia, storie e leggende

Le friggitorie – Sreet food quarta parte (e ultima)

Maggio 12, 2019

L’ultimo capitolo lo riservo per un requiem in memoria. Si, le antiche friggitorie non esistono più.

Quando ero ragazzina Firenze era piena di questi chioschi o piccoli locali dove ti friggevano al momento coccoli, ficattole, polenta e ciambelle. Quando era stagione trovavi anche i carciofi o i roventini fatti nell’apposita pentola, spolverati di grana e racchiusi in un semmelle.

Il centro era pieno di questi piccoli locali piastrellati di maiolica bianca e per scovarli bastava seguire il proprio naso. In periferia trovavi i chioschi nel punto centrale del Quartiere, a Rifredi, per esempio, era in Piazza Dalmazia e negli anni ’70 sfornava coccoli a tutte le ore.

La zona del Mercato Centrale era quella più viva e “profumata” di coccoli e bomboloni. Personalmente ne ricordo una in Via dell’Ariento, in fondo, quasi in Via Nazionale, un po’ più grande delle altre e serviva anche turisti quindi con una proposta più articolata ed extrafiorentina. Intorno agli anni ’80 è diventata un pizza a taglio ed oggi, francamente, non saprei dire. La strada si è talmente trasformata che non sarei più in grado di riconoscere il fondo giusto.

Nei miei “giri” adolescenziali, però, la mia favorita era in Via Sant’Antonino. A metà pomeriggio con 50 lire di portavi via un bel cono di carta gialla pieno di coccoli e polenta fritta.

Ai tempi dell’Università, invece, c’erano le friggitorie sotto l’Arco di San Pierino. Le mie compagne di studi abitavano sopra e la finestra di cucina dava proprio sopra la friggitoria. L’odore ci diceva quando era il momento di fare una pausa e scendevamo a prendere un po’ di fritto per pranzo o le ciambelle per merenda. Ogni anno, però, la cucina andava ritinteggiata, i muri si impregnavano di quell’odore di olio che dopo un po’ era impossibile starci.

Cosa trovavi nelle friggitorie

Ma cosa si poteva trovare nelle friggitorie? Principalmente coccoli (dei quali puoi trovare la ricetta quì), ficattole, ciambelle e verdura. I roventini non li ricordo più gia dagli anni ’70. Il sangue dei maiali non era di facile reperibilità e poi ne fu vietato l’uso.

I coccoli e le ficattole sono pasta di pane fritta, i coccoli sono rotondi ed ora li potete trovare nelle osterie del centro ad accompagnare affettati e formaggi. Sono così buoni che sono stati anche nel menù del tristellato Enoteca Pinchiorri! Le ficattole sono i coccoli….schiacciati. La pasta da pane viene stesa e tagliata a rombi quindi fritta. Cuocendo forma delle bolle e si gonfia, scolate ben bene venivano messe nel cartoccio, una spolverata di sale e via.

Le ciambelle (o frati fritti) sono dolci. Anche in questo caso è un impasto tipo pane ma più ricco, fritto e cosparso di zucchero. Una variante tutta Fiorentina sono i bomboloni. Solito impasto, una frittura più attenta vista la dimensione e poi tagliati a metà e riempiti di crema.

In inverno nelle friggitorie più grandi o poste in zone di maggior passaggio si potevano trovare i carciofi impastellati e fritti. In estate il loro posto veniva preso dalle zucchine e dai fiori di zucca. Sempre si poteva trovare anche la polenta tagliata a quadretti spessi 1 cm e fritta.

Perchè non ci sono più le friggitorie?

Questi locali sono andati via via scomparendo. Un po’ perchè le abitudini alimentari sono cambiate, il fritto è stato demonizzato dalla medicina moderna e comunque molto di quel fritto che veniva prodotto all’epoca  non era di qualità. Quando alla metà degli anni ’80 sono arrivati i primi cinesi hanno trovato questi localini gestiti per lo più da anziani, oberati dalle nuove normative sulla somministrazione e con il lavoro notevolmente diminuito. Con un po’ di soldi in contanti hanno rilevato le licenze ed hanno sostituito i coccoli con gli involtini primavera.

Ai cinesi sono seguiti i nordaffricani che hanno trasformato molti di questi locali in Kebab. Ma non è solo questo.

Il colpo di grazia è stato dato dalle normative. Locali non più a norma con le nuove regole igienico-sanitarie, restrizioni imposte dalle normative UE ad alimenti tradizionali del cibo di strada italiano ma che però davano via libera agli involtini primavera ed al kebab, ne hanno sancito la definitiva morte.

Ormai in città le friggitorie si contano sulle dita di una mano. Parlo delle friggitorie “vere” e non dei moderni street food che si possono trovare all’interno del Mercato Centrale o per le strade del turismo di massa dove puoi trovare la verdura o le alici fritte ma non i coccoli ed i roventini.

I’ trippaio – Street food terza parte

Maggio 12, 2019

Tutti sanno che lo street food a Firenze è sinonimo di panino con il lampredotto. Guide come il Gambero Rosso menzionano i migliori trippai della città ed alcuni di questi hanno aperto anche succursali all’estero.

Se ormai il trippaio prepara quasi esclusivamente panini con lampredotto così non era un tempo.

I panini, anzi i’semmelle con….

Il trippaio era l’artigiano che preparava le carni povere e le vendeva agli angoli delle strade in calderoni fumanti. Per i cenni storici puoi leggere l’articolo che parla del Lampredotto.

Nel panino, ovvero i’semmelle c’era il lampredotto, c’era la trippa al sugo, c’era il bollito misto, la poppa ed il roventino. Immancabile condimento  la salsa verde, condimento principe dello street food cittadino.

La trippa ed il Lampredotto

Se nel resto d’Italia lo stomaco dei bovini viene comunemente chiamato tutto trippa in Toscana no.

Lo stomaco è infatti composto da 4 parti ed il lampredotto è il quarto stomaco, l’ultimo. Tralasciando i particolari sul lampredotto del quale parlo in altro articolo, mi volevo soffermare sulle altri carni.

La trippa è la normale trippa, lavata, scottata, tagliata a striscioline e cucinata al tegame con un bel soffritto ed il pomodoro. Il panino, che dovrebbe essere un Semmelle,  viene tagliato a metà, condito con olio, sale ed un po’ di salsa di cottura e riempito di carne.

Il bollito

Il bollito è un  misto di carni composto da magro, codino, muscolo e zampa. Tutti i pezzi vengono messi in pentola con gli odori e lasciati cuocere per 5 ore. La carne viene poi sminuzzata, i’semmelle  bagnato nel brodo di cottura della carne e riempito. Molto gradito un bel cucchiaio di salsa verde. Di questa particolare ed onnipresente salsa fiorentina troverete la ricetta qui.

La poppa

Anche nel panino con la poppa si usa mettere la salsa verde. La poppa non è altro che la mammella della mucca, tagliata a fette e lessata. Anche in questo caso il panino si bagna nel brodo di cottura e si riempie con la carne. A casa mia, però, la poppa veniva passata in uovo sbattuto, pane grattugiato e fritta. Una bontà.

Il roventino

Oltre al panino con la trippa l’altro panino che non prevede salsa verde è il panino con il roventino. Ormai non esiste più a causa delle moderne leggi igienico-sanitarie. L’ingrediente primo del roventino è il sangue di maiale.

Questo panino, però, non lo trovavi dal trippaio ma dal friggitore del quale parliamo in un altro articolo.

Il panino con il roventino non si trovava tutto l’anno ma solo in autunno quando i contadini ammazzavano i maiali. Il sangue veniva raccolto, mescolato con un po’ di farina e si faceva una specie di crepes da servire ben calda… altrimenti che “roventino” sarebbe.

Un po’ di pecorino grattato prendeva il posto della salsa verde. Naturalmente il tutto va accompagnato con un bel bicchiere di Chianti Rex Rubrum.

Il semelle ovvero il panino di Firenze – Street food 2

Maggio 11, 2019

Ma che fine ha fatto i’Semmelle?
Ricordo della mia infanzia! Un panino rotondo con il taglio trasversale e che in gergo, proprio per questo, veniva chiamato anche Passerina.
Era il contenitore delle nostre merende e del cibo di strada per eccellenza: il lampredotto, il lesso o il roventino.

I ‘Semmelle

Questo panino veniva realizzato con farina fiore ed era leggero e soffice, nato per essere inzuppato nel latte o nel caffè.

Il suo nome deriva dal tedesco Sèmmel che a sua volta derivava dal latino Simila ovvero semola.

Unico pane salato della nostra tradizione,  era in voga nei locali storici dell’ottocento tipo Doney o Giubbe Rosse.  Veniva servito accompagnato a  riccioli di burro e ciotoline di confettura per la colazione o per lo spuntino pomeridiano.
Con il tempo questo panino si era modificato ed era diventato “popolare” ed il suo maggior uso era quello del panino con il lampredotto.

A differenza delle rosette e delle michette nate come pani calmierati per il consumo del popolo, i’Semmelle era un pane nato ricco. Era preparato con ingredienti più costosi come la farina fiore e per essere inzuppato era ricco di mollica prodotta da una lunga lavorazione.

Con il tempo si è snaturato per ragioni commerciali ed economiche e se oggi i trippai seguitano a chiamarlo Semmelle o Passerina ……. È solo una semplice rosetta tutta crosta e mezza vuota dentro.

Se riesci a trovare ancora il vero Semmelle prova a tagliarlo a metà, spalmarci sopra un leggero velo di burro quindi un po’ di confettura di more della Violetta e sentirai che prelibatezza! Altro che pane e marmellata!

Trippa centopelle e lampredotto – Street food 1

Maggio 11, 2019

Visto quanto è tornato di moda lo street food volevo raccontare di come è evoluto quello della nostra città. Per poter raccontare questa storia, però, va spiegato cos’è il lampredotto, attuale Re indiscusso del nostro street food.

Per capire l’importanza della trippa nella cucina fiorentina voglio riportarvi alcuni passi tratti da una raccolta del Lasca intitolata “canto della trippa e centopelle”. Si tratta di una raccolta di versi carnascialeschi raccolti nel 1750.

Giove, Padre delli Dei,
Con Giunon, Marte, ed Alippa
Ed ognun de’ Semidei
Sempre vollero la trippa;
(…)
Donne abbiamo un signorile,
Grasso, e bianco lampredotto,
Benchè grosso, egli è gentile,
Chi lo vuol lo metta sotto,
Pria chè venga qualche ghiotto
Della trippa, e centopelle”

Ma cosa sono trippa, centopelle e lampredotto?

Lo stomaco del bovino

Lo stomaco del bovino è composto da 4 parti. La prima è il Rumine, quella più bianca, spessa e grassa, la trippa per antonomasia.

La seconda è la Cuffia, sempre bianca ricorda un reticolo ed ha aspetto spugnoso.

La terza parte è l’Omaso, a Firenze si chiama Centopelli perché  è bianca, magra ed ha struttura lamellare come tante pieghe.

L’ultimo è l’Abomaso, il nostro Lampredotto, la parte di stomaco prima dell’intestino. Più scura ha una struttura che ricorda le gale di un vestito antico.

Lampredotto

Il nome deriva dalla Lampreda che è un gustosissimo pesce di acqua dolce. Di questo pesce abbiamo traccia già nel 1100 quando si racconta di quanto ne fosse ghiotto il Re Enrico I. Nel tempo è rimasto nell’uso culinario della nobiltà inglese tanto da comparire anche nella serie TV Trono di spade.

Questo pesce bruttacchiolo ha la caratteristica di avere la bocca….a pieghe e per questo ricorda un po’ il nostro abomaso.

A Firenze la lampreda si pescava in Arno e veniva servita sulle tavole delle famiglie in vista. Il popolino non si poteva cibare di certe raffinatezze allora con ironia chiamò Lampredotto la parte più povera delle frattaglie, unica carne alla loro portata.

I trippai

All’interno delle medievali Arti Minori, congregazioni nate nel XII e XIII sec., troviamo l’Arte dei Beccai che raggruppava i macellai, i trippai, i pesciaioli e gli osti. La corporazione dei trippai era seconda per importanza solo a quella dei macellai. Lo street food fiorentino nasce in quel periodo con i carretti dove si vendevano le frattaglie fumanti. Nelle cronache del ‘400 si parla già di fumose botteghe in riva all’Arno dove si preparavano frattaglie. Era il cibo del popolo, artigiani e bottegai quindi questi locali erano maggiormente diffusi nelle zone dove c’erano botteghe. Possiamo dire che quel pezzo del Rione di San Frediano che oggi è delimitato da Via Maggio, Via dei Vellutini, Via Guicciardini e l’Arno era il rione dei trippai.

Ma accanto al panino con il lampredotto che cosa ci bevo? L’acqua si dice che fa arrugginire quindi meglio un bel picchiere di vino! Vi consiglio un rosso fresco, leggero e fruttato come il Chianti Rex Rubrum o un Vino rosso da tavola maremmano come il Pigolaia rosso.

Il vino nella storia di Firenze

Maggio 7, 2019

Per Firenze il vino e la vigna sono sempre stati elementi fondamentali per il suo sviluppo e per le sue tradizioni.

Non racconterò degli Etruschi viticultori o delle grandi famiglie come i Frescobaldi e gli Antinori. Voglio invece raccontare alcune curiosità che lasciano capire quanto sia stato importante per la città la vigna ed il suo frutto.

Le strade

Già dal nome di alcune strade del centro storico si può capire quanto fosse diffusa la coltivazione della vite. Troviamo Via della Vigna Vecchia che dal retro di Palazzo Vecchio porta in Santa Croce e ricorda i terreni sui quali avevano impiantato le loro vigne i Monaci Benedettini della Badia Fiorentina.  Via della Vigna Nuova,  invece, unisce  Via Tornabuoni con l’Arno e che indica dove un tempo erano coltivate le vigne dei Monaci Vallombrosani. Abbiamo anche l’odierna Via Vineggia un tempo chiamata Via di Santa Maria in Vigna e segnala il luogo dove insistevano i vigneti di Santa Maria Novella.

Le Arti e Mestieri

Le rivendite di vino in città si moltiplicavano. Si vendeva vino locale ma anche vino d’importazione come quello Greco. Nel XII secolo venne istituita l’Arte dei Vinattieri che faceva parte delle Arti Minori ed il comune cercò di regolamentare la vendita limitando il numero delle rivendite ad una mescita ogni sestiere. Le zone della città con il maggior numero di mescite erano l’Oltrarno e la zona del Mercato Vecchio ovvero il quartiere che si estendeva fra le attuali P.za della Repubblica e Via Tornabuoni e che in seguito accolse il Ghetto poi demolito nel XIX secolo.

Visto la floridità di questo commercio la vendita del vino fu presto tassata e con i proventi il Comune finanziò una buona quota della costruzione del Palazzo dei Priori, ovvero Palazzo Vecchio.

I Tabernacoli e le buche

Intorno al XVI secolo la vendita del vino fu liberalizzata e nacquero i cosiddetti “tabernacoli del vino”. In pratica sono delle finestrelle aperte al piano terra dei palazzi ed attraverso queste aperture si commerciava il vino. Alcune sono ancora visibili in P.za Strozzi, in B.go Pinti o in Via delle Belle Donne. Si noterà una finestrella in pietra con due sportellini in legno ed a volte un iscrizione con l’orario di vendita.

Le buche erano delle aperture più grandi, delle vere e proprie porte, che conducevano nelle cantine dei palazzi dove oltre alla vendita di vino si faceva anche mescita e desinare. Alcune buche nel XX secolo sono diventate dei famosi Ristoranti, come ad esempio La Buca Lapi o la Buca Mario.

In Dispensa abbiamo una piccola ma accurata selezione di vini. Fra questi spicca il Beccaia, uno dei 100 vini migliori d’Italia o il Liber, vino biodinamico delle colline fiorentine. Potete scoprire la nostra selezione clikando quì.

 

Firenze. Lo scoppio del Carro

Aprile 11, 2019

 

Lo Scoppio del Carro è la manifestazione tradizionale che si svolge la domenica di Pasqua in P.za del Duomo a Firenze. In tutta Italia  abbondano i riti del periodo Pasquale e lo Scoppio del Carro di Firenze è fra i più famosi ed  antichi.

Storia

La tradizione colloca la  nascita di questa usanza con la liberazione di Gerusalemme durante la Prima Crociata condotta da Goffredo da Buglione nel 1099.

Si dice che il primo crociato a salire sulle mura di Gerusalemme sia stato il fiorentino Pazzino de Pazzi. Per tale motivo Goffredo da Buglione lo premiò con tre schegge di pietra provenienti dal Santo Sepolcro.

Il sabato di Pasqua successivo alla liberazione a Gerusalemme si tennero dei riti imponenti. In segno di purificazione durante la messa  i crociati donarono a tutti i presenti del fuoco benedetto. Tornato a Firenze con le sue reliquie Pazzino rinnovò la tradizione del fuoco sacro anche nella sua città.

Il fuoco veniva acceso sfregando fra loro le pietre del Santo Sepolcro.  I giovani delle famiglie fiorentine andavano da i Pazzi ed accendevano delle Torce che portavano in processione. Così facendo purificavano la città e le case.

Con il tempo questa rievocazione acquistò nuove liturgie. Le lanterne furono sostituite da un braciere  sopra ad un carro e poi da una struttura con fuochi pirotecnici che “scoppiavano” con l’accensione del fuoco.

I depositari della tradizione e delle pietre erano i componenti della Famiglia Pazzi ma con la loro cacciata del 1487 la commemorazione passò nelle mani della Signoria che la riportò alla sobrietà con la sola consegna del fuoco nella Piazza fra Duomo e Battistero. Il popolo non gradì e per questo la Signoria affidò l’organizzazione all’Arte di Calimala amministratrice del Battistero e riportò lo Scoppio tanto amato dai Fiorentini.

Con la cacciata dei Medici a seguito delle predicazioni del Savonarola i Pazzi rientrarono in città e si riappropriarono di beni, benefici ed anche dell’organizzazione dello Scoppio del Carro. La cerimonia divenne più solenne e fecero costruire un carro sormontato da una torre pirotecnica su tre livelli. Nonostante i vari restauri fra i quali quello del 1966 post alluvione, ed i suoi 520 anni il carro è ancora in servizio.

Svolgimento

Il carro normalmente staziona in un deposito a Porta a Prato. I giorni precedenti viene revisionato, collaudato e ripulito. La domenica di Pasqua viene attaccato ad una coppia di buoi addobbati con fiocchi e pennacchi e trasportato in Piazza Duomo, nello spazio fra la facciata della Cattedrale ed il Battistero. Al carro viene collegato un filo metallico che parte dall’altare del Duomo e dove è posizionata la Colombina. Si tratta di un razzo a forma di colomba che l’Arcivescovo accende con il fuoco Sacro e che da li raggiunge, tramite il filo metallico posto in discesa, il carro.

A questo punto è tutto un rumore di scoppi, colori, scintille pirotecniche fumo e sventolare di bandierine. Solo quando la nube di fumo si sarà diradata si potrà vedere se tutte le bandierine poste sui tre livelli del carro si sono aperte. In caso affermativo tradizionalmente si avrebbe avuto un buon raccolto e quindi prosperità per la città, in caso contrario l’annata non sarebbe stata buona.

Ormai, grazie alla tecnologia, le bandierine si aprono sempre e…è un peccato, era più divertente quando da bambini stavamo con il naso all’insù ad aspettare che il fumo passasse per scoprire l’arcano.

Se volete passare la Pasqua a Firenze ed alloggiare nella natura a pochi chilometri dal centro della città vi consiglio il piccolissimo B&B di Violetta, il Blommig Garden. Segui il link per scoprirlo.

La Sportella dell’Elba

Aprile 3, 2019

Si dice che a Rio nell’Elba la Sportella, dolce a forma di ciambella (femminile), ed il Ceremito, altro dolcetto ma di forma allungata (maschile), fossero i messaggeri d’amore.

Il giovane faceva trovare alla sua bella un Ceremito  insieme ad un cesto di fiori per la domenica delle palme. Se la ragazza aveva gradito il regalo,  per domenica di Pasqua  regalava al giovane  la Sportella benedetta  ed il giorno di Pasquetta durante la scampagnata avrebbero suggellato il legame.

A Rio è rimasta la tradizionale produzione della Sportella Pasquale ed il Lunedì di Pasquetta si celebra la festa di questo dolce presso l’Eremo di Santa Caterina. Ma veniamo alla ricetta

Ingredienti

  • 600 gr di farina
  • 250 gr di zucchero
  • 4 uova
  • 1 busta di lievito
  • 200 gr di burro
  • 1/2 tazza di latte
  • q.b. semi di anice
  • codette di zucchero

Procedimento

Versare sul piano la farina con lo zucchero, fare la fontana ed al centro porre il lievito, 3 uova il burro ammorbidito a pezzi, il latte ed una manciata di semi di anice.

Lavorare bene l’impasto fino ad ottenere una palla liscia. Dividere l’impasto un palline quindi da ogni pallina fare un cordone chiuso poi a ciambella. Spennellare le ciambelle con il rosso d’uovo e cospargere gli zuccherini.

Porre la teglia nel forno a 180° e far cuocere per 20 minuti.

Si accompagna con vino dolce aromatico come il Ronchi Pichi.

Le merende a base di pane

Febbraio 4, 2019

Il pane è sicuramente uno degli ingredienti principali della merenda e della cucina fiorentina.
La caratteristica del nostro pane è che è “sciocco” ovvero sciapo, senza sale, tutta colpa dei pisani!

Nel XII secolo ci furono aspre lotte fra Pisa e Firenze e la Repubblica Marinara bloccò tutte le strade che portavano a Firenze. Fra queste c’erano anche quelle provenienti dalle saline e quindi in città si decise di panificare senza sale. Dante parlando dell’esilio scrisse i famosi versi “tu proverai si come sa di sale lo pane altrui,…”.

Il pane anticamente veniva fatto una volta a settimana, questi grandi pani venivano avvolti in teli e conservati nelle “madie”. Il pane rimaneva fresco e fragrante a lungo ma verso fine settimana le massaie dovevano inventarsi qualche piatto per finire la vecchia “ruota”. Non si deve buttare via niente.
Nasce così la minestra di pane invernale e la panzanella estiva, la pappa con il pomodoro (chi si ricorda di Giamburrasca e Rita Pavone?) e le fette inzuppate per merenda.

Il pane a merenda

Le classiche merende di noi bambini fiorentini erano sostanzialmente tre e variavano a seconda della stagione: pane con l’olio, pane con il pomodoro e pane vino e zucchero.
Il pane era sempre il pane un po’ più vecchio tanto si inzuppava e si ammorbidiva. Il pane fresco veniva utilizzato solo nel caso si volesse pane burro e sale o pane burro e zucchero.

Il pane con l’olio era più invernale, fetta di pane, un po’ di olio nuovo ed una spolverata di sale.

In estate prima si strofinava un pomodoro maturo tagliato a metà e poi si metteva l’olio ed il sale. Quando la mamma faceva la conserva si metteva sul pane una cucchiaiata di conserva fresca e densa sempre con il rigo d’olio ed un po’ di sale.

In tutte le stagioni c’era pane vino e zucchero. In una ciotola la mamma metteva un po’ di vino annacquato, inzuppava la fetta di pane e ci spolverava sopra lo zucchero. A casa mia era la merenda dell’influenza e della convalescenza perché il vino fa sangue e lo zucchero tira su.

Se vuoi provare queste ricette prova a fare una pagnotta con della farina di grani antichi di Nonna Sermide seguendo la ricetta che trovi quì. Per “inzuppare” usa la passata di pomodoro di Blommig Garden, un rigo d’olio biodinamico di Cerreto Libri ed il Chianti di San Cresci. Il vino lo puoi usare per inzuppare il pane o, meglio, per accompagnare la merenda!



Berlingozzo

Gennaio 14, 2019

Oggi volevo parlarvi del Berlingozzo. Anche questo è un dolce nato per festeggiare il giovedì grasso ed infatti prende il nome proprio da Berlingaccio.

A Firenze, infatti, il giovedì grasso viene chiamato Berlingaccio fin dai tempi di Cosimo I e nel cinquecento il verbo Berlingare indicava travestirsi e spassarsela a tavola. Pare che il termine derivi dal tedesco Bretling ovvero tavola da pranzo.

Il Paolo Petroni nel suo “Il libro della vera cucina fiorentina” riporta anche un’altra ipotesi, più estrosa ma meno attendibile. Si fa riferire il termine a tal Berlinghieri paladino di Carlomagno passato alla storia come gran mangiatore e bevitore.

Ma veniamo alla ricetta

Ingredienti

  • 350 gr di farina
  • 200 gr di zucchero
  • 3 uova
  • 1/2 bicchiere di latte
  • 1/2 bicchiere di olio EVO
  • 1 limone
  • 1 pizzico di sale
  • lievito in polvere

Procedimento

Prima di tutto montare le uova con lo zucchero e quando risulteranno spumose aggiungere l’olio a filo seguitando a mescolare. Quindi aggiungere il pizzico di sale e la scorza del limone grattugiata.

Con calma incorporare la farina ed aggiungere via via il latte in modo da far rimanere l’impasto liscio e cremoso. A fine lavorazione aggiungere lo lievito e versare in una forma per ciambelle imburrata ed infarinata.

Nella zona di Lamporecchio non viene formato a ciambella ma viene fatta la classica torta rotonda, la dose della farina viene giudicata “ad occhio” e vengono aggiunti dei semi di anice. Praticamente è l’impasto dei famosi brigidini di Lamporecchio con l’aggiunta di lievito e cotto in forno invece che sulla piastra.

La cottura avviene in forno a 150° per circa 40 minuti. Fate attenzione a non aprire il forno prima che non sia ultimata la cottura altrimenti il Berlingozzo scende.

Befanini

Dicembre 27, 2018

Questi dolcetti chiamati Befanini  hanno una storia antica. Venivano fatti dalle massaie viareggine nel periodo fra Capodanno e la Befana e da quì deriva il caratteristico nome. Fondamentale per questi biscotti sono le “forme”. Ne troviamo a forma di stelle, di cuori, di animali, di befana e di befanotti (i mariti delle befane). Ogni massaia aveva la sua forma e la tradizione vuole che i bambini facessero il giro del vicinato portando i biscotti della propria mamma alle altre famiglie e ne ricevesse in cambio altri in modo che  per la festa della Befana si aveva un vassoio con tante forme diverse.

Ingredienti

  • 1 kg di farina di Nonna Sermide
  • 600 gr di zucchero
  • 200 gr di burro
  • 5 uova
  • 1 bacca di vaniglia
  •  pizzico di anici
  • 1 bicchiere di latte
  • 1 bustina e mezza di lievito
  • 2 bicchierini di rhum (ma anche Vin Santo)

Procedimento

Sbattere bene le uova quindi aggiungere la farina setacciata ed il burro ammorbidito. Quindi aggiungere lo zucchero e via via tutti gli altri ingredienti lasciando per ultimo i semi di anice ed il lievito.

Avvolgere il panetto ottenuto in un foglio di pellicola e lasciarlo riposare per una decina di minuti. Spianare l’impasto fino ad ottenere una sfoglia di circa mezzo centimetro quindi coppare con la forma scelta.

Imburrare ed infarinare una teglia, quindi disporre i befanini. Spennellare i biscotti con uovo sbattuto quindi decorarli con codette colorate, confettini o pezzetti di cioccolato.

Passarli in forno a 180° fino a quando non saranno ben asciutti e color nocciola.

Si possono servire a fine pasto con un bicchierino di Vin Santo oppure per merenda con una cioccolata calda.

Podere San Cresci – Vin Santo del Chianti

Tortapistocchi® – Preparato per cioccolata in tazza

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